Da quasi 10 anni ad aprile è tempo di Fashion Revolution.
Il 24 aprile 2013 a Dhaka, in Bangladesh, un edificio di otto piani è crollato, per un cedimento strutturale uccidendo 1.134 persone (soprattutto donne) e ferendone oltre 2.500. Era una fabbrica tessile all’interno della quale operavano marchi anche molto noti della moda globale.
Da allora, ad aprile il movimento internazionale del Fair Trade, le ONG, le associazioni e tutti i cittadini e le cittadine che si impegnano per un mondo più equo chiedono giustizia e provano a farsi sentire chiedendo a gran voce “Who made my clothes?”, chi ha fatto i miei vestiti?
Il settore tessile
Il mondo della produzione tessile è segnato da profonde ingiustizie sociali e ambientali. Ogni anno vengono prodotti 100 miliardi di capi che, in media, vengono gettati dopo solo 7 utilizzi. L’80% dei vestiti che abbiamo in casa non sono stati indossati negli ultimi 12 mesi.
Il settore della moda ogni anno è responsabile del rilascio di 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera, dell’utilizzo di 98 milioni di tonnellate di risorse non rinnovabili, dell’impiego di 117 miliardi di metri cubi di acqua e dell’inquinamento del 20% delle acque a livello globale.
Il settore impiega 35 milioni di persone, ricevendo stipendi fra i più bassi al mondo.
E potremmo continuare…
I responsabili sono noti. La richiesta di stipendi dignitosi, di garanzie contrattuali e sociali, di rispetto per l’ambiente non sono solo una questione lontana, che non ci riguarda.
Che sia una fashion revolution per tutti e tutte
Chiediamoci e continuiamo a chiedere, dunque, “chi ha fatto i miei vestiti?”. Le alternative esistono, la consapevolezza è il primo passo per invertire la rotta e per scegliere in modo responsabile e sostenibile.
Le proposte di moda etica del Commercio Equo e Solidale sono alla portata di ciascuno e ciascuna di noi, attiviamoci per vestire i panni della giustizia.